Figura 6: Sinistra: Ricostruzione dell’Eucyon durante la caccia. Destra: Scheletro del Canis Arnensis.
Il primo ominide vero e proprio fece la sua comparsa, 4 milioni di anni fa, (nel Pliocene, 5-2 milioni di anni fa) con il genere Australopithecus. I più famosi Australopitechi furono l’Australopithecus afarensis (di cui è stato trovato il celebre scheletro Lucy) e l’Australopithecus africanus. Questi erano bipedi, avevano capacità cranica di 400-500 cc, pari al 35% di quella degli umani moderni, erano piccoli e gracili, misurando normalmente non più di 120 cm di altezza. La maggior parte delle specie di Australopiteco non era più dedita all’uso di utensili di quanto non siano i moderni primati.
La prima specie appartenente al genere Homo fu l’Homo habilis, i cui più antichi resti, provenienti dalle regioni intorno al lago Kenia in Africa, risalgono a circa 2.5 milioni di anni fa. Homo habilis aveva una capacità cranica di circa 760 cc, utilizzava pietre scheggiate come utensili, soprattutto per macellare la carne. Esso non cacciava prede di grandi dimensioni, non disdegnava le carcasse abbandonate dai grandi predatori, ed era prevalentemente vegetariano.
Evoluzione, sempre avvenuta in Africa, dell’Homo habilis fu l’Homo erectus, comparso circa 1.5 milioni di anni fa, che presentava una postura completamente eretta, una statura di circa 170 cm, un notevole sviluppo cranico (900 cc) e soprattutto utilizzava strumenti lavorati, modificati e adattati alle necessità. I resti archeologici, principalmente tracce di accampamenti, ci confermano che l’erectus possedeva il controllo del fuoco. Questa maggior conoscenza tecnologica, e quindi la capacità di adattarsi a diversi ambienti, è forse ciò che permise all’erectus di migrare, colonizzando tutte quelle parti del mondo che sono in collegamento diretto con l’Africa: l’Europa e l’Asia.
Tornando ai canidi, alla fine del Pliocene comparve la specie Canis etruscus, quasi identica al lupo odierno e così chiamata perché il ritrovamento è stato fatto nella Valdarno in Toscana. In Italia, contemporaneamente al Canis etruscus, erano presenti il Canis Arnensis (Figura 6) e il Canis falconeri.
Nel Pleistocene (2) (2 milioni-12 mila anni fa) i canidi assunsero le sembianze attuali. I primi lupi grigi identici a quelli odierni apparvero nel Vecchio Mondo circa 700.000 anni fa, originando dal Canis etruscus. I primi coyote comparvero nel Nuovo Mondo circa un milione di anni fa, dalla linea del Canis lepophagus. I licaoni comparvero in Europa e Africa circa 1.5 milioni di anni fa. La divergenza della linea dello sciacallo risale invece a 6 milioni di anni fa. Per poter competere con gli antenati degli uomini e dei felidi, che popolavano la savana, tutte queste specie (tranne il coyote) si organizzarono in branchi. Il lupo, in particolare, si sviluppò così bene da essere uno dei predatori di maggior successo dell’intero pianeta. Il lupo, come l’uomo, ha la capacità di adattarsi perfettamente ai più diversi ambienti e alle condizioni esistenziali più ardue, e l’adattabilità è una garanzia di sopravvivenza.
Lo stadio evolutivo successivo all’Homo erectus fu la nostra specie, l’Homo sapiens, comparso in Africa tra 1 milione e 100.000 anni fa. Circa 130.000 anni fa un gruppo di sapiens migrò nell’Europa glaciale dando origine a quello che viene comunemente chiamato uomo di Neandertal.
Infine, 50.000 anni fa, in Europa, giunse quello che viene detto uomo di Cro-Magnon, zoologicamente Homo sapiens sapiens, ossia una sottospecie del sapiens. L’uomo di Cro-Magnon, ovvero l’uomo moderno, sostituì, in Europa l’uomo di Neandertal (che si estinse circa 28.000 anni fa) in un arco di tempo relativamente breve, anche se non è possibile stabilire che tipo di relazioni si stabilirono tra i due.
Quindi 130-150.000 anni fa gli uomini del Paleolitico e i lupi si ritrovarono ad occupare gli stessi territori e a cacciare le stesse prede. Due specie di intelligenti predatori sociali, altamente predisposte a stringere legami con i conspecifici e a vivere in gruppi dalle gerarchie ben strutturate, si ritrovarono a vivere in stretto contatto.
Se durante tutto il Paleolitico i primi gruppi umani vissero da nomadi sopravvivendo di caccia e raccolta, con la rivoluzione neolitica, avvenuta circa 10.000 anni fa, i nostri antenati incominciarono a dedicarsi alla coltivazione e all’allevamento e a costruire insediamenti stabili. Escludendo il cane, i primi animali domestici furono la capra (10.000 a.C. Asia e Medio Oriente), la pecora (8.000 a.C. Asia e Medio Oriente), il maiale (8.000 a.C. Cina), e la mucca (8.000 a.C. India, Medio Oriente, e Sub-sahara). Il lupi, probabilmente tollerati dai cacciatori paleolitici, con la domesticazione del bestiame, non furono più tollerati vicino agli stanziamenti umani. Ma senza il cane non sarebbe stato possibile sviluppare artiodattili domestici come ovini o bovini, per la cui custodia esso è fondamentale.
I dati archeologici
Ossa di ominidi e di lupi insieme si trovano fin dal medio Pleistocene in tutto l’emisfero nord.
I siti più famosi sono Zhoukoudian (Cina del nord, 500.000-300.000 anni fa), Boxgrove (Kent, Inghilterra, 40.0000 anni fa) e la Cava di Lazeret (Nizza, Francia, 150.000). Questi resti indicano che ominidi e lupi hanno convissuto per molti millenni sullo stesso territorio come nemici e competitori e che gli ominidi cacciavano i lupi per nutrirsene e per utilizzare le loro pelli. Osservando l’aspetto degli animali non si osservano modifiche strutturali del lupo che facciano pensare alla domesticazione.
Nella grande arte parietale delle caverne, che si sviluppò in area Franco-Cantabrica (3) tra circa 30.000 e 15.000 anni fa, non vi è traccia di cani, nonostante siano dipinte scene di caccia e numerosi animali preistorici, come mammut, cervi, lupi e leoni. Questo fa pensare che il cane non fosse allora presente in Europa. E' probabile che l’uomo ammirasse il lupo e che desiderasse assumerne le virtù: nella grotta di Font de Gaume un profilo di lupo emerge dal buio con una incisività stupefacente (Figura 7). Ancora oggi i popoli che vivono esclusivamente come cacciatori, come Eschimesi, Indiani d’America e popoli siberiani della fascia artica dell’Eurasia, amano il lupo, inserendolo nei loro miti e nelle loro cerimonie religiose e identificandosi con esso.
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Figura 7: Sinistra: Lupo preistorico raffigurato su una parete della grotta di Font de Gaume (Francia, 16.000 anni fa). Centro: Tomba del sito di Ain Mallaha, datata intorno a 12.000 anni fa, in cui un uomo anziano accarezza un giovane cane (disegno di B. Gallicchio). |
Le prime figure che indubitabilmente ritraggono cani preistorici si datano intorno a 11-10.000 anni fa nell’arte rupestre del Levante spagnolo (come le incisioni di Cueva Vieja de Alpera in Figura 8) e del Deserto Libico. Sono scene che mostrano l’interazione tra cani slanciati e cacciatori muniti di arco e frecce, che collaborano nella caccia a mammiferi selvatici.
Nei siti di circa 15.000 anni fa (Paleolitico superiore), le ossa fossilizzate dei lupi ritrovate in prossimità di quelle umane, iniziano a presentare le prime differenze morfologiche rispetto ai lupi selvaggi. Le variazioni strutturali del protocane includono diminuzione della taglia accorciamento del muso, comparsa dello stop, mandibola convessa, bolla timpanica più piccola, denti più piccoli. In sostanza i protocani si presentavano, dal punto di vista fisico, come piccoli lupi dalle fattezze giovanili. 15.000 anni fa è una data di tutto rispetto, se pensiamo che tutte le altre specie domestiche non superano la soglia dei 10.000 anni. Per ora, il ritrovamento più antico di Canis lupus familiaris è relativo al sito di Oberkassel (Germania) datato 14.000 anni fa: si tratta di una piccola mandibola all’interno di una sepoltura umana. Tra i siti più produttivi con resti di cani ricordiamo quello di Palegawra Cave in Iraq e quelli di Hayonim, Mount Carmel e Jericho in Israele.
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Figura 8: Sinistra: Scena di caccia in un incisione di Cueva Vieja de Alpera. Destra: Scena di caccia in un’incisione rupestre del Parco Nazionale di Naquane. |
Una menzione a parte merita il sito di Ein-Mallaha, nell’attuale Israele del nord, relativo alla cultura Natufiania, una cultura mesolitica di 12.000 anni fa. I Natufiani erano cacciatori raccoglitori e furono tra i primi popoli a insediarsi in villaggi permanenti. Essi avevano addomesticato il cane, almeno un millennio prima del bestiame e grazie ai cani, capaci di seguire le tracce delle prede ferite e ritrovarle, iniziarono a cacciare usando frecce piuttosto che asce. La tomba H-104 del sito di Ein-Mallaha contiene uno scheletro umano di una persona anziana che giace sul fianco in posizione raccolta; la persona poggia una mano aperta sul torace di un cane cucciolo seppellito con lei (Figura 7). Questa è la prima prova dell’esistenza di un rapporto affettivo tra uomo e cane!
Tra i siti del mesolitico (10.000 anni fa) ricordiamo anche Star Carr (Yorkshire, Gran Bretagna), Bedburg-Koningshowen (Germania) e Fairbanks (Alaska) dove troviamo i probabili antenati dei moderni cani da slitta degli Inuit, giunti nel Nuovo Mondo già domestici attraverso lo stretto di Bering.
A partire dal Neolitico si hanno un gran numero di ritrovamenti di cani evolutivamente avanzati.
Tra i più famosi abbiamo i ritrovamenti di Jarmo (Montagne Zagros, 9.000 anni fa), quelli del sito di Tocibara (Giappone 8.000 anni fa) e i numerosi ritrovamenti della Cina (a partire da 7.000 anni fa).
Allo stato attuale delle conoscenze si può affermare che il processo di domesticazione del lupo è avvenuto contemporaneamente in diverse parti del mondo a partire da diverse sottospecie lupine: in Europa e nord America Canis lupus lupus e Canis lupus lycaon, grandi e adatte al freddo, in Asia sudoccidentale e Medio Oriente Canis lupus arabs e Canis lupus pallipes, piccoli e chiari, in Cina Canis lupus chanco, in Giappone Canis lupus hodophilax, oggi estinto.
A partire da circa 10.000 anni fa, comunque, il cane era diffuso in tutta l’Eurasia, l’Africa ed il nord America. La sua diffusione fu quindi estremamente rapida.
Gli archeologi segnalano reperti di cani associati ai maiali in Cina fin dal 4.000 a.C. e con bovini e pecore dal 3.200 a.C.: sono queste le prime testimonianze dell’utilizzo dei cani come guardiani del bestiame.
Nel 2.000 a.C. il cane raggiunse un’importanza rituale e religiosa degna di nota. Le rovine del complesso archeologico di Shang as Yin (Cina) hanno messo in luce moltissime tombe contenenti vittime sacrificali.
Un cenno merita la scoperta di due mummie di piccoli cani appartenuti agli Indiani Basket Makers ritrovate nel pueblo di White Dog Cave (Arizona) risalenti al tempo di Cristo. Gli Indiani amavano molto questi piccoli cani chiamati Techichi e li tenevano solo per compagnia. Altre popolazioni indiane avevano l’abitudine di filare il pelo dei cani per farne tessuti e indumenti, prima dell’introduzione delle pecore. Altre usavano i cani per trascinare e trasportare pesi.
Nel Parco Nazionale di Naquane (Capo di Ponte, Italia) troviamo molte incisioni rupestri raffiguranti cani. Sulla destra della Figura 7 vediamo una scena di caccia, risalente al 600 a.C., in cui un cervo colpito da una lancia è attaccato alle terga da un cane.
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Figura 9: Sinistra: Stele di Abydos 2.040-1.640 a.C. Centro: Dipinto su una bara conservata al museo del Cairo. Destra: Dipinto in una tomba di Deir el-Medineh. |
Possiamo riconoscere con esattezza i vari tipi canini presenti già prima del 2.000 a.C. nell’antico Egitto, grazie alle numerose pitture e sculture pervenuteci (Figura 9). Levrieri, molto simili agli attuali Pharaoh Hound, erano allevati dalla nobilità per la caccia all’antilope e alla gazzella. Vari cani di piccole dimensioni, spesso dipinti sotto le sedie dei loro padroni, erano tenuti nelle abitazioni e pagati come tributi al Faraone. A partire dal 1.600 a.C. furono introdotti dall’Asia i mastini (Figura 11), che venivano accuratamente addestrati per attaccare l’uomo. Nell’antico Egitto i cani decedutivenivano pianti, mummificati e sepolti nella tomba dei loro proprietari. Il cane aveva anche una connessione divina: Anubi, il dio dalla testa di cane, calibrava la bilancia sulla quale le anime dei morti venivano pesate e molti giovani cani, soprattutto nei pressi di Cynopolis, erano sacrificati per assicurarsi il benvolere di Anubi.
Anche in altre culture il cane era connesso con il passaggio tra la vita e la morte e, come conseguenza, con la guarigione dalle malattie. Gula, dio della medicina nell’antica Mesopotamia, era spesso raffigurato insieme a un cane simbolicamente guardiano e protettore dalle malattie (Figura 11).
Gli antichi greci avevano grossi cani guardiani degli armenti, segugi per la caccia e piccoli cani da casa (Figura 10). Spesso sacrificavano i poveri cani di strada ad Ares, dio della guerra e a Ecate, dea della morte. I cani del dio guaritore Asclepio vivevano all’interno dei santuari ed erano talvolta operatori delle sue terapie.
Roma amò particolarmente i molossi, destinati alla guardia, alle legioni di guerra o a dilettare i cittadini nell’arena del circo combattendo contro altri animali, più o meno feroci, o massacrando i condannati a morte in esecuzioni cruente (Figura 11). I Romani usavano inoltre i cani come protettori del bestiame già prima del 1.000 a.C..
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Figura 10: Sinistra: Caccia al cinghiale con cani su un affresco di Tiryns (Grecia, 1.300 a.C.). Destra: Caccia al cervo in un mosaico ellenistico. |
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Figura 11: Sinistra: Pavimento a mosaico dell’ingresso della Casa del Poeta Tragico di Pompei, 50 a.C.-79 d.C.. Centro: Rappresentazione di Gula,dio della medicina nell’antica Mesopotamia, spesso raffigurato insieme a un cane. Destra: Cane tipo mastino in una terracotta di Nineveh (Iraq) del 850 a.C.. |
L’analisi del mtDNA
Il DNA mitocondriale, abbreviato in mtDNA (dall’inglese mitochondrial DNA), è il DNA collocato nei mitocondri, ed è ereditato esclusivamente per via materna (5). Nel passaggio da genitore a prole, il mtDNA non viene praticamente modificato, diversamente dal DNA nucleare che varia del 50% da una generazione all’altra. Esso può variare solo per effetto delle mutazioni e, poiché le mutazioni si accumulano ad una velocità relativamente costante, il numero di mutazioni può essere utilizzato come orologio molecolare: maggiori sono le differenze tra il mtDNA di specie diverse, maggiore è il tempo trascorso dalla loro divergenza da un antenato comune.
Il mtDNA è stato utilizzato per ricostruire le caratteristiche di molte specie (tracciando all’indietro l’intera linea femminile) fino a generazioni di migliaia di anni addietro. Per quanto riguarda gli studi su Homo sapiens, è stato individuato in questo modo un progenitore, soprannominato Eva mitocondriale, vissuto circa 150.000 anni fa.
Nel 1997 Carles Vilà e Robert Wayne hanno tracciato la linea materna della discendenza dei cani domestici dai lupi. Essi hanno analizzato delle sequenze di 261bp6 di mtDNA appartenenti a 162 lupi provenienti da 27 regioni del mondo (Asia, Europa, nord America), a 140 cani domestici rappresentanti 67 razze, a 5 coyote e a 12 sciacalli. Dai loro studi emerge che i lupi presentano 27 aplotipi (7) differenti in media per 5 sostituzioni e i cani 26 aplotipi differenti in media per 5 sostituzioni (8). La distribuzione degli aplotipi nei lupi dimostra la specificità regionale mentre le differenze tra gli aplotipi nei cani non sono correlate con le razze. I dati di questa analisi confermano che il cane deriva dal lupo: infatti mentre la la massima differenza
tra cane e lupo è inferiore a 12 sostituzioni, quella tra cane e sciacallo e quella tra cane e coyote è maggiore a 20 sostituzioni e 2 inserzioni. Questo non toglie che ci possano essere stati incroci di cagne femmine con coyote e sciacalli maschi.
Secondo gli studi di Vilà gli aplotipi dei cani possono essere divisi in quattro gruppi monofiletici discendenti da quattro antenati comuni. Quindi la domesticazione sarebbe avvenuta in modo indi- pendente in più parti del mondo.
I coyote e i lupi hanno una divergenza nelle sequenze analizzate pari a 0.075 e si sono separati dal loro antenato comune circa un milione di anni fa, stando ai dati archeologici. I cani e i lupi hanno una divergenza massima pari a 0.010 e quindi, impostando una proporzione, devono essersi separati dal loro antenato comune 135.000 anni fa, secondo le analisi di Vilà (9).
Nel 2002 Peter Savolainen ha svolto un nuovo studio sul mtDNA, analizzando le variazioni genetiche relative a 582bp di 654 cani domestici provenienti dall’Asia, dall’Europa, dall’Africa, e dalle regioni artiche del nord America e di 38 lupi provenienti dall’Europa e dall’Asia. Secondo i dati di Savolainen la domesticazione del cane sarebbe avvenuta 40.000 anni fa a partire da un unico antenato cinese, e il cane si sarebbe successivamente diffuso in Europa.
Se queste date (135.000-40.000 anni fa) fossero veritiere, dati i ritrovamenti fossili disponibili, dovremmo pensare che le modifiche strutturali siano state molto posteriori a quelle del tempera- mento e che il passaggio delle società umane da cacciatrici raccoglitrici a sedentarie e agricole, avvenuta circa 10.000 anni fa, abbia imposto nuovi regimi selettivi ai cani risultata in una marcata differenza fenotipica dai lupi selvatici.
Recenti ricerche mostrano tuttavia che gli orologi molecolari non sono idonei a datare tempi misurabili in migliaia di anni, mentre possono valere per dimensioni temporali più vaste. Quindi il problema del quando non potrebbe essere affrontato utilizzando questi lavori.
In una ricerca del 2005, Fabio Verginelli ha analizzato le informazioni genetiche riferibili a circa 261bp di mtDNA di reperti fossili di 3 lupi risalenti a 15.000-10.000 anni fa e di 2 cani risalenti a 4.000-3.000 anni fa e le ha confrontate con le sequenze di 341 lupi e 547 cani contemporanei. Stando ai risultati di questi studi i cani sarebbero stati domesticati 15.000 anni fa a partire dai lupi europei.
Le ipotesi sull’incontro tra l’uomo e il cane
Quella con il cane è l’alleanza più antica che la nostra specie abbia realizzato. Ma in che modo è avvenuto il primo incontro tra uomo e cane? Ed è stato il cane ad avvicinarsi per primo all’uomo o, viceversa, è stato l’uomo a cercare il cane?
Per molto tempo si è pensato che l’iniziativa sia partita dall’uomo. Secondo questa ipotesi i cacciatori primitivi adottarono i cuccioli degli animali da loro abbattuti per allevarli loro stessi. Probabilmente i cuccioli furono anche allattati dalle loro donne (10). I lupacchiotti furono poi accolti negli accampamenti e addomesticati. Sicuramente gli animali che si dimostrarono aggressivi o che attaccarono le persone furono uccisi o cacciati via e quelli rimasti timidi e paurosi tornarono spontaneamente al loro ambiente selvatico. Soltanto gli animali che non avevano paura e che si sottomettevano facilmente all’uomo rimasero nella comunità umana e qui si riprodussero.
Si discute molto dell’utilità del lupo per l’uomo: perché l’uomo avrebbe voluto introdurre il lupo nei suoi accampamenti?
Forse il lupo poteva aiutare l’uomo nella caccia. Quando i cacciatori incominciarono a utilizzare freccia e arco, il cane primordiale avrebbe potuto scovare e inseguire la selvaggina. Però, anche se il ruolo nella caccia è divenuto molto importante con il passare del tempo, (una ricerca finlandese ha dimostrato che i successi nella caccia all’alce sono addirittura superiori del 56% quando i cacciatori sono accompagnati dai cani), è difficilmente immaginabile che i cani di allora, ancora molto selvatici, potessero consegnare volontariamente la loro preda all’uomo.
Forse, per prima cosa, l’uomo trasse profitto dalla vigilanza degli animali. In questo caso, doveva essere in grado di osservarli molto bene per capire l’incombere di un pericolo, perché la probabilità che i cani di allora sapessero già abbaiare è molto bassa, dato che i nemici predatori si sarebbero accorti di loro.
Forse gli animali mantenevano pulito l’accampamento, non soltanto mangiando gli avanzi di cibo degli esseri umani, ma anche gli escrementi e venendo usati come pannolini. Tuttora in Kenia, presso la tribù dei Turkana, i cani mangiano le deiezioni dei bambini.
Un’altra possibilità è che il cane fosse utilizzato come fonte di calore, come fanno ancora oggi gli aborigeni australiani con i dingo durante le notti molto fredde.
Il cane avrebbe potuto anche essere usato come animale da trasporto dai nostri antenati che vivano ancora come nomadi. Questa usanza per esempio era praticata dagli Indiani d’America prima dell’addomesticamento del mustang.
E' possibile che alcuni cani venissero mangiati, come si usa ancora oggi in alcune culture. Sicu- ramente le loro pelli erano di grande utilità per i nostri antenati in continua espansione verso nord.
Una seconda ipotesi è che il lupo si sia avvicinato all’uomo volontariamente, perché presso di lui poteva facilmente trovare avanzi di cibo. Presumibilmente per il lupo la vicinanza all’uomo recava anche altri vantaggi, come la protezione dagli animali predatori, dato che anche gli uomini si dovevano difendere dagli orsi e dagli altri nemici. Secondo i Coppinger, l’incontro sarebbe avvenuto nel Mesolitico, con la comparsa dei primi insediamenti semistabili. I pre-cani trovarono vantaggioso aggregarsi all’uomo come spazzini stazionando nei pressi dei suoi accampamenti e accompagnandolo negli spostamenti. D’altra parte per gli esseri umani era vantaggioso avere un animale non temibile autonominatosi spazzino. Non dimentichiamo che ancora oggi nel rapporto uomo-cane è l’uomo ad avere un ruolo di dominanza: l’uomo spartisce e offre il cibo al cane che lo richiede.
Forse all’inizio furono i lupi solitari esiliati dal branco, incapaci di cacciare da soli grosse prede, a seguire gli esseri umani. I figli di questi lupi impararono, probabilmente, che gli esseri umani non erano nemici, ma piuttosto fornitori di pasti luculliani e incominciò a svilupparsi una popolazione di lupi completamente abituata agli esseri umani.
Per i Coppinger l’ipotesi che gli uomini del Paleolitico abbiano ammansito, addestrato e domesticato i lupi è assurda. Essi fanno notare quanto sia difficile allevare cuccioli di lupo: per abituarsi ad essere gestiti dalle persone i lupacchiotti devono essere sottratti alla lupa non dopo i 10 giorni di vita, allattati con un biberon ogni tre ore e accuditi costantemente. Anche così, da adulti non sono animali da compagnia, mantengono un rigido senso della gerarchia e del branco, sono pericolosi e basta un minimo errore di comunicazione o un movimento un pò brusco per farli attaccare. Inoltre, una volta raggiunta la maturità sessuale, i lupi, molto selettivi nella scelta dei partner, cercano di scappare in cerca di un compagno (11). Addestrare i lupi non è cosa semplice: possono essere abituati al guinzaglio, ma non obbediscono al richiamo, al seduto o al resta. Ammettiamo che qualche lupo sia rimasto e divenuto adulto negli accampamenti umani, per realizzare la domesticazione e rendere la mansuetudine e l’addestrabilità dei caratteri ereditari, bisogna allevare una quantità enorme di lupi, un’intera popolazione e non ci sono evidenze archeologiche che gli uomini primitivi avessero con loro un numero simile di lupi per generazioni e generazioni. E questo è un progetto a lungo termine che può essere condotto solo da un equipe e non dagli uomini preistorici.
L’ipotesi dell’autodomesticazione dei lupi è supportata dalle osservazioni effettuate per anni dai Coppinger sui cani dei villaggi, in particolare nell’isola di Pemba, al largo di Zanzibar. Gli abitanti di Pemba si alimentano esclusivamente con la caccia, esercitata in forme primitive, e con l’agricoltura. Nei pressi degli insediamenti umani, gli animali non troppo spaventati dalle persone, come i topi, i ratti, i piccioni e anche i cani, possono facilmente trovare cibo e sopravvivere. Le persone non si curano dei cani, ma li tollerano poiché questi, nutrendosi degli avanzi e della spazzatura, mantengono puliti i villaggi. I Coppinger riconoscono nei cani di Pemba i discendenti dei cani originari che, 10.000 anni fa, impararono a vivere da commensali nei villaggi del Mesolitico.
Il cane, il lupo, il coyote e lo sciacallo sarebbero varietà di una medesima specie, capace di evolversi continuamente in funzione del clima, dell’habitat e delle condizioni di vita. Il cane si sarebbe adattato a vivere nella nicchia ecologica umana, in cui non c’è bisogno di rincorrere e uccidere una preda, ma basta aspettare gli avanzi, e dove sono favoriti gli individui che non temono le persone. Sarebbe quindi avvenuta una selezione in base alla distanza di fuga, molto simile a quella condotta da Belyaev sulle volpi. Le differenze morfologiche e caratteriali sarebbero frutto della selezione naturale sugli animali che vivono in questa nuova nicchia: testa più piccola, denti meno robusti e cervello meno voluminoso sono le caratteristiche di un animale che non ha più bisogno di cacciare grosse prede, ma deve solo aspettare che qualcuno lasci del cibo per lui.
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Figura 12: Per i cani che vivono liberi nei villaggi gli esseri umani rappresentano delle importanti risorse. |
Non sapremo mai con esattezza come il lupo e l’uomo si siano avvicinati. La cosa più probabile è un insieme degli scenari sopra descritti, cioè che si siano avvicinati reciprocamente. Indipendentemente dal motivo che spinse l’uomo e il lupo a convivere, l’associazione doveva essere di grande utilità per entrambi dato che il cane si diffuse così rapidamente, tanto che invase tutto il mondo più di 10.000 anni fa.
Accettando l’origine antica del cane indicata dagli studi sul mtDNA di Vilà, il biologo Allman giunge a ipotizzare che la presenza del cane nelle comunità di sapiens abbia contribuito al loro affermarsi sui cugini neandertaliani. Sfruttando la capacità di caccia di questi predatori, i sapiens sapiens sarebbero riusciti a raggiungere un’efficienza di sfruttamento delle risorse ambientali come nessun’altra specie, avrebbero migliorato le proprie condizioni di vita e aumentato la velocità di riproduzione. La presenza del cane avrebbe anche accresciuto la sicurezza del gruppo familiare e tribale attraverso il monitoraggio e la difesa attiva dell’ambiente, consentendo all’uomo di dormire sonni più tranquilli e di dedicarsi maggiormente ad attività di gioco e di ricreazione. Inoltre la presenza del cane avrebbe ampliato il territorio usufruibile sia nei processi di spostamento (sicurezza e orientamento negli spostamenti) sia nei processi di caccia (territori più vasti, più specie cacciabili). Sarebbe cioè plausibile pensare che anche il cane in qualche modo ci abbia selezionati, offrendo un vantaggio competitivo a quei soggetti che erano predisposti a creare legami simbiotici con lui. Si tratterebbe di coevoluzione e anche il corredo genetico umano a causa della domesticazione sarebbe cambiato. Noi saremmo i discendenti dei primi esseri umani amanti dei cani o di coloro che avevano un’inclinazione a mantenere un legame con essi e la nostra struttura comportamentale sarebbe stata tanto modificata da farci avere un bisogno innato di avere contatti con questi animali.
Le differenze tra il cane e il lupo
Analizziamo in questa sezione alcune differenze fisiche e comportamentali tra i cani e i lupi.
A parità di peso il cranio dei cani e più piccolo del 20% rispetto a quello dei lupi. Per avere il cranio di un lupo di 45 kg serve un cane di 78 kg (Figura 13). A parità di volume del cranio, i cani hanno un cervello più piccolo del 10% e il cane con il cervello più grande è paragonabile ad un lupo di 5 mesi. Rispetto a tutte le altre specie del genere Canis, i cani hanno denti più piccoli, pur mantenendo il numero e la tipologia, hanno capacità degli organi sensoriali ridotte, inferiori livelli di reattività e maggiore tolleranza allo stress.
Inoltre hanno due estri all’anno (i selvatici ne hanno uno solo), raggiungono la maturià sessuale in media tra i 7 e i 10 mesi d’età (i selvatici intorno ai 2 anni), presentano un dimorfismo sessuale poco marcato e una ridotta selettività nella ricerca del partner.
Le possibilità di socializzazione interspecifica dei cani sono decisamente maggiori di quelle dei lupi, sia nei confronti degli uomini che nei confronti degli altri animali: questo è probabilmente dovuto al fatto che nei cuccioli di cane la paura dell’ignoto e degli sconosciuti insorge tardiva- mente e la finestra di socializzazione risulta pertanto dilatata.
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Figura 13: Cranio di lupo e cranio di cane. Cambiamenti nel volume del cervello e nelle dimensione del cranio durante la crescita. |
Anche tralasciando le razze dalle morfologie estreme, i cani hanno minori potenzialità comunicative, sia a livello di mimica, sia a livello di posture. I lupi sono decisamente più attenti alla posizione gerarchica, e l’autocontrollo impartito con l’addomesticamento non è in grado di cancellare questa tendenza. Tra i cani l’intensità dell’aggressività interna al branco è
considerevolmente ridotta.
Nel corso dell’addomesticamento i cani hanno perso determinate capacità, ma ne hanno acquisite di nuove, con le quali si sono straordinariamente adattati alla vita con gli esseri umani.
Mentre i lupi ammansiti non corrono dal padrone quando sentono pronunciare il loro nome, sopportano malvolentieri il guinzaglio e, se imparano a eseguire un comando, lo eseguono solo in presenza della ricompensa, i cani sono facilmente addestrabili e sono in grado di aspettare pazientemente il permesso di fare qualcosa.
Quello che più differenzia i cani dai lupi è il loro stretto legame con l’uomo per tutta la vita.
I cani sono attratti dagli uomini, attenti alle loro attività, guardano negli occhi e interpretano i segnali umani. Sono propensi alla collaborazione: il cane ha imparato che qualsiasi cosa interessi un essere umano può diventare motivo di azione comune.
Nel corso di una serie di esperimenti, basati sul recupero di cibo nascosto, Brian Hare ha dimostrato che il cane è più abile ad interpretare i segnali e le indicazioni (fissare con gli occhi, indicare con un dito) degli esseri umani di quanto non siano gli scimpanzé (una specie molto più simile alla nostra) e i lupi. Anche la comunicazione è una caratteristica che si è evoluta per permettere al cane di entrare in una nuova nicchia, quella che gli ha permesso di stabilire una vera e propria simbiosi con l’uomo.
Il funzionamento della mente dei lupi è più potentemente influenzato dai determinanti genetici, mentre la mente dei cani è più soggetta alle influenze ambientali e all’apprendimento. Questa elasticità mentale è in realtà molto simile a quella degli esseri umani.
I branchi di lupi cacciano in maniera cooperativa qualunque grande erbivoro (alci, caribù, cervi e altri grandi ungulati) si trovi nel loro territorio, mentre gli esemplari solitari si limitano alla caccia di prede piccole, perché incapaci d’attaccare animali di grandi dimensioni. I cani ferali non cacciano molto e, se lo fanno, le loro prede sono piuttosto piccole e cacciate in solitudine.
Nella sequenza di foraggiamento del lupo si susseguono nell’ordine i seguenti elementi: orient (notare la preda), eye (concentrarsi intensamente sulla preda), stalk (puntare la preda con testa bassa, corpo basso e lento avanzare), chase (inseguire), grab-bite (afferrare), kill-bite (morsicare a morte), dissecting (dissezionare) (Figura 14). Questa sequenza nei cani non è nè completa nè funzionale e in alcune razze alcuni elementi sono ipertrofici, ritualizzati e sembrano essere autoremunerativi (per esempio eye, stalk e chase nei Border Collie, eye nei Pointer, grab-bite nei Retriever).
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Figura 14: Alcune fasi della sequenza di foraggiamento del lupo: orient, stalk, chase e dissecting. |
Liberati dalla necessità di essere equipaggiati perfettamente per sopravvivere sulle loro forze, i cani hanno potuto crescere e riprodursi anche con forme e caratteristiche lontane da quelle dell’antenato selvatico. La nuova nicchia richiede di saper convivere con l’uomo, essere utile all’uomo e piacere all’uomo.
Tutte le specie appartenenti al genere Canis (cani, lupi, coyote e sciacalli) sono identiche nel cariotipo, hanno cioè lo stesso numero di cromosomi, della stessa forma e con la stessa mappatura dei geni, e i loro cuccioli alla nascita sono molto simili in forme e dimensioni; le differenze tra questi animali sono allelomorfiche, cioè variazioni nella sequenza delle basi che danno luogo ad alleli dello stesso gene. Tali differenze allelomorfiche risultano dall’eterocronia, cioè da cambiamenti nei tempi di insorgenza, di frequenza e di scomparsa degli effetti dei geni stessi.
L’eterocronia dà luogo a due fenomeni biologici di grande interesse ed importanza, e cioè alla pedomorfosi, arresto dello sviluppo ad una fase giovanile, e alla neotenia, persistenza di caratteri giovanili fin nello stadio adulto. I diversi gradi di neotenia e pedomorfosi e la grande metamorfosi che intercorre tra i cuccioli e gli adulti del genere Canis sono tra le caratteristiche responsabili della grande varietà di razze canine.
Nei cani mancano alcuni comportamenti tipici del canide adulto, come la reazione di fuga, le sequenze complete e funzionali dei pattern di foraggiamento, e permangono caratteristiche dei cuccioli, come le orecchie pendenti e la dipendenza. Il cane possiede, insieme, comportamenti neonatali ed adulti: chiede cure ed attenzioni, ha bisogno di essere nutrito, ma nel contempo può puntare e cacciare una palla, e non ha la tendenza ad abbandonare il branco, restando
dipendente per la vita. Quando il cane mischia tratti comportamentali del cucciolo e dell’adulto in sequenze non funzionali, il risultato è il gioco; quando li riarrangia in sequenze funzionali nuove il risultato è l’apprendimento. Lo stesso Homo sapiens, che impara facilmente e ama giocare anche da adulto, è ritenuto neotenico. Diversamente dai canidi selvatici, che da adulti si limitano a pochissime espressione vocali, i cani abbaiano spesso e volentieri; l’abbaio è unamanifestazione neotenica, oltre a una caratteristica selezionata dall’uomo. La persistenza dello stadio giovanile comporta una destabilizzazione del genoma tale che si vengono a creare novità evolutive non presenti nell’ancestrale come dimostrato dagli esperimenti di Belyaev.
L’esperimento di Belyaev
Il genetista Dmitri Belyaev e la sua collega Lyudmila N. Trut dell’Istituto di Citologia e Genetica di Novosibirsk, in Siberia, condussero un lungo (iniziato nel 1959 e durato quasi 50 anni) esperimento di riproduzione selettiva sulle volpi argentate, una sottospecie di Vulpes vulpes mai domesticata prima d’allora, utilizzando come unico criterio di selezione la docilità nei confronti degli esseri umani.
I due scienziati iniziarono il loro esperimento con volpi provenienti da un’allevamento per pellicce. Si trattava di animali selvatici, anche se mantenuti in cattività già da anni, diffidenti, nervosi, mordaci, che si ritraevano spaventati ogni volta che un essere umano li avvicinava.
Le volpi venivano sottoposte a una serie di test per valutarne la mitezza, osservando per esempio le reazioni in presenza di persone che offrivano loro del cibo, o cercavano di manipolarle. Solo alle volpi che si dimostravano più mansuete durante i test era concesso di riprodursi.
Di generazione in generazione erano sempre meno le volpi che cercavano di fuggire o mordere, e sempre più numerose quelle amichevoli e fiduciose. Nelle ultime generazioni erano numerose le volpi che si avvicinavano scodinzolando, ricercavano le attenzioni delle persone, desideravano il contatto, si facevano accarezzare annusando e leccando affettuosamente le mani, spesso del primo essere umano incontrato. Oggi, dopo più di 40 anni di selezione, l’80% delle volpi si comporta nei confronti degli esseri umani praticamente come un cane: risponde al richiamo e, in ambiente domestico, si rivela un animale da compagnia dal buon temperamento.
La cosa sorprendente è che queste volpi, non solo si comportano come cani, ma assomigliano anche fisicamente e fisiologicamente ai cani. Rispetto alle popolazioni selvatiche, mostrano cambiamenti nel colore, macchie bianche,specialmente in certe aree del corpo, come sulla fronte,orecchie pendenti, code più corte e arricciate, crani più corti e stretti e nasi più corti e larghi. Le vocalizzazioni risultano simili a quelle dei cani. La maturità sessuale è raggiuntaprecocemente, i calori sono più frequenti, le cucciolate sono più numerose e diminuisce il dimorfismo sessuale.
Nel periodo di sviluppo la paura compare tre settimane in ritardo, cosa correlata con un più basso livello di corticosteroidi nel plasma (ormoni implicati nelle risposte allo stress).
Le analisi biochimiche indicano concentrazioni dimezzate dei corticosteroidi, livelli bassi di melanina, tirosina, dopamina e adrenalina (ormoni e neurotrasmettitori implicati nella reattività e nella pigmentazione) e livelli di serotonina più alti (il sistema serotoninergico gioca un ruolo importante nell’inibire i comportamenti aggressivi) rispetto a un campione di controllo.
I cambiamenti morfologici e fisiologici osservati nella selezione delle volpi argentate (mantelli spesso pezzati, orecchie pendenti, code arricciate, maggiore riproduttività, precoce maturità sessuale) rispecchiano quelli mostrati anche da altri animali domestici, come maiali, cavalli e mucche. Secondo Belyaev e Trut questi cambiamenti sono correlati alle caratteristiche comportamentali e in particolare alla docilità, che permette agli animali di adattarsi a vivere in mezzo agli esseri umani. Selezionare a favore della docilità e a sfavore dell’aggressività significa agire a livello di ormoni e di neurotrasmettitori e i geni che regolano queste sostanze chimiche possono influenzare anche lo sviluppo morfologico. In particolare si tratterebbe dei geni che regolano il timing, cioè di eterocronia. Quindi i cambiamenti in comportamento, fisiologia e morfologia sono correlati e derivano da un’unica pressione selettiva, la mitezza nei confronti degli esseri umani.
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Figura 15: Le volpi di Belyaev: selezionando in base alla mitezza nei confronti degli esseri umani compaiono i tratti comportamentali morfologici e fisiologici caratteristici degli animali domestici e in particolare dei cani. |
Conclusioni
Anche se non sapremo mai come è avvenuto l’incontro, possiamo analizzare perché un legame simile è avvenuto proprio tra uomo e lupo e cosa ha permesso ai lupi di integrarsi nella società umana. L’alleanza tra le due specie si fonda sull’impressionante somiglianza tra il loro modo di vita e il loro comportamento: ambedue possiedono notevoli capacità comunicative, formano relazioni personali con i singoli membri del gruppo sociale, mostrano interesse alle idee e agli obiettivi dei compagni e sono capaci di provare empatia. Entrambe sono capaci di cooperare suddividendosi i compiti per procacciarsi il cibo, hanno tendenze aggressive verso i consimili poco accentuate, partecipano all’allevamento dei cuccioli e, pur di vivere in gruppo, sono disposte a seguire delle regole e a rispettare il proprio posto nella gerarchia. Tra i canidi selvatici solo i lupi sono legati da una struttura sociale così forte.
A partire dall’antichità ovunque vi sia l’uomo vi è anche il cane, e la coppia uomo-cane è coinvolta in una vasta gamma di relazioni e di spazi di interazione a seconda dei luoghi, delle culture e dei contesti sociali. Per fare degli esempi, nel corso dei secoli troviamo levrieri, molossi, segugi e bracchi al fianco dei cavalieri nella caccia e nella guerra, bolognesi, maltesi e king cavalier nei salotti delle dame, pechinesi in Cina, nel palazzo imperiale della Città Proibita, preposti alla protezione dell’Imperatore nell’al di là. Troviamo cani guardiani del bestiame, come i pastori maremmani-abruzzesi al seguito della transumanza, bovari e pastori da conduzione intenti a guidare i pascoli e cani pariah che vivono ai margini delle società.
Troviamo popoli che venerano il cane e popoli che lo disprezzano, società che nutrono i cani con prelibatezze e società che mangiano i cani. Quando Colombo, più di 500 anni fa, arrivò in America, incontrò un unico animale domestico che era conosciuto anche nel Vecchio Mondo: il cane. Al giorno d’oggi gli ambiti in cui i cani affiancano l’uomo sono ulteriormente aumentati: dalla polizia alle dogane, dalle protezione civile alla ricerca di persone, oggetti e sostanze, dall’assistenza agli andicappati alla diagnosi e terapia medica. E soprattutto sono sempre più numerose le persone che cercano nel cane un compagno di vita, forse spinte dall’ancestrale memoria dell’intimo legame tra le due specie.
NOTE
1 Il quarto premolare superiore e il primo molare inferiore in molti (ma non tutti) Carnivori sono grandi e a forma di lama. Chiamati denti carnassiali, sono usati per tritare e tagliare.
2 L’era geologica Pleistocene corrisponde al periodo della preistoria umana chiamato Paleolitico.
3 Si tratta delle celebri grotte di Francia, di Spagna e d’Italia: centocinquanta tra le quali Lascaux, Font de Gaume, Les Combarelles, Rouffignac, Altamira e Monte Castillo.
4 Il Mesolitico è il periodo preistorico a cavallo tra Paleolitico e Neolitico.
5 Questo è in contrasto con la maggior parte del DNA degli organismi eucarioti, che si trova nel nucleo delle cellule. Si ritiene che il 100% del mtDNA di uno zigote sia ereditato dalla madre.
6 Con bp si indica il numero di coppie di basi di DNA considerate.
7 Nel mtDNA, così come nel DNA, sono contenuti i geni in posizioni ben precise chiamate loci. Le forme alternative di un gene sono dette alleli e la combinazione di varianti alleliche relative a loci contigui è detta aplotipo.
8 Sostituzioni e inserzioni sono delle mutazioni.
9 Coppinger critica duramente i metodi con cui questa è analisi stata condotta.
10 Il maternaggio è una pratica diffusa in alcune tribù primitive ancora oggi. Esso è indotto dalla motivazione epimeletica, cioè dalla tendenza a prendersi cura, dare da mangiare, pulire, accudire, proteggere, venire in aiuto, coccolare e educare, innescata e suscitata da specifiche morfologie giovanili, come la testa grande e bombata, le rotondità, le zampe corte e cicciotte, gli occhi grandi, il muso schiacciato, il corpo corto. Questa motivazione è così forte che spesso riesce ad oltrepassare la barriera di specie. E' proprio attraverso questo meccanismo che si spiegano i casi di leonesse che accudiscono piccoli impala, di lupi che allevano neonati, o di gazzelle che allevano altri mammiferi.
11 Gli aborigeni che adottano un cucciolo di dingo hanno l’abitudine di rompergli una zampa per impedirgli di tornare alla vita selvaggia seguendo il richiamo sessuale.
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